Sebbene non italiana, Vera Smith si è a lungo occupata della situazione economica e del mercato del lavoro in Italia dopo la seconda guerra mondiale, dedicando approfonditi studi sul carattere monopolistico del sistema industriale italiano e sul divario fra Nord e Sud Italia.
Vera Smith, economista britannica, studentessa di Robbins e Hayek alla LSE, consegue il dottorato in economia nel 1935 sotto la supervisione di Hayek. La sua tesi di dottorato criticava il sistema bancario centrale (Smith Lutz 1990 [1936]), adottando esempi storici riguardanti il sistema bancario centrale in Inghilterra, Scozia, Francia, Stati Uniti, Germania e Belgio. Nel suo lavoro, Smith si basava sulle teorie monetarie austriache esposte principalmente da Ludvig Mises (1928), avverso all’azione delle banche centrali. Smith sosteneva che la valuta emessa dalle banche commerciali private avrebbe dovuto competere con la valuta emessa a livello nazionale, dato che, all’epoca, i sistemi monetari nazionali solitamente funzionavano male. La tesi di Smith è una ricostruzione storica sulla genesi della banca centrale negli Stati Uniti e delle banche centrali negli stati europei. In questa ricostruzione, Smith mostra che il sistema delle banche centrali – in contrasto con la banca libera – era prevalso a causa di una «combinazione di motivi politici e accidenti storici che giocarono un ruolo molto più importante di qualsiasi principio economico ben ponderato» (Smith Lutz 1990, 5).
Secondo Smith, la banca centrale era stata istituita come monopolio per motivi politici legati alle esigenze delle finanze statali. Una volta istituita, «la superiorità della banca centrale rispetto al sistema alternativo divenne un dogma», rafforzato dalla previsione che, sotto un sistema bancario multiplo, ci sarebbero stati fallimenti regolari di banche individuali, oltre a instabilità monetaria (inflazione). Smith sottolineava anche che le crisi spesso originano dal sistema bancario centrale, nella convinzione che le banche private mantenessero proporzioni stabili di riserve: «Le principali fluttuazioni derivano dai cambiamenti nella quantità di denaro fornito dalle banche centrali. Troviamo che le banche commerciali mantengono proporzioni di riserve relativamente stabili e che le loro attività di prestito seguono abbastanza da vicino (eccetto durante il periodo della depressione) i movimenti del denaro delle banche centrali» (Smith Lutz 1990).
Dal 1938 si stabilisce nel New Jersey lavorando come economista nella Sezione di Finanza Internazionale dell’Università di Princeton. Torna in Europa nel 1953, stabilendosi a Zurigo.
Nel suo libro, Theory of Investment of the Firm (1951), Smith cerca di unire l’economia neoclassica e le teorie austriache introducendo il concetto di tempo, come estensione del modello proposto da Böhm-Bawerk, ovvero un modello standard di investimenti in una prospettiva anti-keynesiana, «integrando la teoria della produzione con la teoria del capitale così come si applica all’impresa individuale» (1951: 4). Come scrisse più tardi Smith, il loro scopo era «sviluppare una teoria unificata della produzione e degli investimenti secondo un criterio di minimizzazione dei costi (e massimizzazione dei profitti)» (1959: 61). Nei suoi lavori sulla relazione tra fattori monetari e tasso di occupazione, Smith (1952) difese la dicotomia classica tra fattori reali e monetari, utilizzando il modello di Modigliani contro la visione keynesiana secondo cui la quantità di denaro e le preferenze di liquidità sono determinanti dei livelli reali delle variabili macroeconomiche. Nell’analizzare il ruolo dei fattori monetari nella politica salariale sotto concorrenza perfetta e concorrenza imperfetta, nonché la dipendenza dei fattori monetari dalla programmazione del risparmio e dalla domanda reale di saldi di cassa, Smith concluse che non erano correlati con una riduzione della disoccupazione. Anche contro la disoccupazione, Smith sosteneva le dinamiche del libero mercato. Secondo lei, esistevano due modi per combattere la disoccupazione: «Uno è attaccare direttamente gli elementi di potere monopolistico sia nel mercato del lavoro che in quello dei prodotti. L’altro è introdurre il controllo governativo sul tasso reale di guadagno con mezzi fisici (razionamento), che è di fatto un altro metodo indiretto per limitare il potere dei sindacati nel negoziare un dato livello di salari reali» (1952: 272). Smith si oppose a questo secondo modo di combattere la disoccupazione.
L’interesse di Smith per la dinamica macroeconomica si sviluppava anche nell’analisi del benessere dei lavoratori. Invitata dalla Banca d’Italia insieme al marito economista tedesco Friedrich Lutz, a studiare le condizioni dei lavoratori e del mercato del lavoro, nel 1962 Smith pubblica Italy, a Study in Economic Development sulle differenze fra Nord e Sud Italia, criticando fortemente l’atteggiamento monopolistico del sistema industriale italiano.
Negli anni Sessanta, confronta alcune nazioni europee, in particolare l’Italia (Smith Lutz 1962) e la Francia (Smith Lutz 1969), per capire gli effetti dei sindacati nel determinare la politica salariale. Nel suo libro sulla pianificazione economica francese (1969), Smith Lutz afferma che i sindacati erano ancora convinti che il capitalismo fosse basato sulla lotta di classe e non si erano mai resi conto che esistono altri vincoli sociali nel miglioramento delle condizioni della classe lavoratrice. Presenta quindi la sua teoria sul dualismo salariale: il dualismo salariale nasceva dall’aumento dei salari concentrato nel settore delle grandi imprese; di conseguenza, la domanda di lavoro in questo settore diminuiva a causa dei sostituti di capitale. Questo processo spingeva i disoccupati verso il settore delle piccole imprese, abbassando i salari al di sotto di quelli di un ipotetico mercato del lavoro unificato. Questa cattiva allocazione delle risorse avrebbe generato, come inevitabile conseguenza, una diminuzione del PIL. Contrariamente a un approccio keynesiano, che avrebbe spiegato questo problema come il risultato della mancanza di domanda aggregata, Smith insisteva sulla necessità di trasformare il sistema economico locale, basato sull’agricoltura, in un sistema industrializzato moderno. La sua difesa della trasformazione non era accompagnata da un piano economico pubblico specifico, ma enfatizzava lo sviluppo del settore privato.
Riassumendo, seguendo un argomento tipicamente austriaco, Smith difese fermamente il libero mercato contro qualsiasi forma di economia pianificata, a causa del ruolo dell’incertezza nel determinare qualsiasi decisione basata su politiche. Come scrisse Graziani «Smith considerava lo sviluppo economico come un prodotto spontaneo del mercato, a condizione che il mercato sia lasciato agire secondo le sue regole naturali senza ostacoli o interferenze» (Graziani 1983: 23).
OPERE
Pubblicazioni
- 1959. “The Theory of Investments and Production”. The Quarterly Journal of Economics, 73, 1, pp. 61-87.
- 1990 [1936]. The Rationale of Central Banking and the Free Banking Alternative. Indianapolis, Liberty Fund.
- (con Lutz, F.) 1951. Theory of Investment of the Firm. Princeton, Princeton University Press.
- 1952. “Real and Monetary Factors in the Determination of Employment Levels”. The Quarterly Journal of Economics, 66, 2, pp. 251-272.
- 1962. Italy, a Study in Economic Development. London & New York, Oxford University Press.
- 1969. Central Planning for the Market Economy: An Analysis of the French Theory and Experience. Harlow, Longmans for the Institute of Economic Affairs.
Attività a carattere economico
Traduzioni
Manoscritti e altri documenti
BIBLIOGRAFIA
- Becchio G. 2019. “Austrian school women economists”. In Madden, K; Dimand, R. (a cura di). Routledge Handbook of the History of Women’s Economic Thought. London, Routledge, pp. 309-324.
- Graziani, A. 1983. “The Macroeconomic Theory of Vera C. Lutz”. Banca Nazionale del Lavoro Quarterly Review, 36, 146, pp. 3-27.